Sì, o quasi, della Corte di giustizia europea alle trivelle in Adriatico, ma ora tocca alla Regione Puglia scatenare la controffensiva in tutte le sedi giudiziarie. La sentenza ha respinto il ricorso della Giunta Emiliano contro quattro permessi di ricerca concessi nel 2017 dal Governo Renzi all'australiana Global Petroleum, per 3mila chilometri quadrati, a 12 miglia dalla costa tra Bari e Brindisi.
La Puglia contestava la legittimità delle richieste della multinazionale, che aveva “spacchettato” l'area marina d'interesse in quattro sottoaree contigue, ciascuna con un'estensione di poco inferiore al massimo consentito di 750 chilometri quadrati. Lo spacchettamento sembrava un artificio per aggirare un limite applicabile all'operatore, non solo al singolo permesso.
La Corte di Lussemburgo non ha considerato le richieste GP in contrasto con le norme europee, ma si è limitata alla questione tecnico-giuridica di legittimità. Non ha toccato aspetti ambientali e in aggiunta ha fatto rilevare che i permessi sono subordinati a due condizioni: “garantire a tutti gli operatori un accesso non discriminatorio” alle attività di ricerca e valutare l'impatto cumulativo dei quattro progetti sull'ambiente. Quest'ultimo è un chiaro riferimento alle prospezioni, che seguono la tecnica dell'air gun: aria compressa sparata ad alta pressione contro le profondità marine, per cercare sacche di idrocarburi da estrarre con le trivelle. I pugliesi non hanno dimenticato lo spettacolo doloroso dei capodogli spiaggiati nel 2009 sul litorale tra Cagnano Varano e Ischitella.
Non è un caso che i sì nazionali a Global Petroleum siano arrivati nel 2016, subito dopo la neutralizzazione del referendum nazionale No Triv, per il mancato raggiungimento del quorum. Ma va ricordato che nemmeno dopo quello stop le istituzioni pugliesi, la politica, le le forze sociali e il movimento ambientalista hanno rinunciato alla lunga e pacifica opposizione alla devastazione di due mari.
La nostra antica battaglia deve continuare, con l'impegno determinante della Regione, legittimata ad adire Corti di Giustizia e Consiglio di Stato. Una sfida determinata ma non violenta, riaccesa da una sentenza che ci penalizza e deve allarmarci. Perchè l'offensiva delle multinazionali del petrolio mette a rischio due mari e l'intera costa pugliese, considerando la mappatura di tutte le richieste di ricerca nel sottofondo marino ed anche sulla terraferma (qualche area del Gargano). Da Lesina a Metaponto la Puglia è circondata dagli appetiti di società petrolifere pronte a sacrificare cinicamente i nostri mari, le spiagge, il turismo, la pesca, per ricavare quattro barili di bitume.
Se non si arriva ad una regolamentazione, soprattutto per quanto riguarda queste richieste di autorizzazioni contigue, il rischio è di trovarci l'Adriatico e lo Ionio invasi dalle torri d'estrazione e, prima ancora, con i fondali e la fauna marina violentati dall'air gun.
Sono scelte in contrasto insanabile con la vocazione ambientalista che ha consentito alla Puglia di diventare una delle mete turistiche internazionali più ambite, per la sua bellezza, per il paesaggio costiero e marino incontaminato, che potrebbero essere deturpati da una caccia al petrolio dissennata, antieconomica e distruttiva. È sempre valida la domanda che ho avuto modo di rivolgere a suo tempo all'allora ministro dell'ambiente Stefania Prestigiacomo: “farebbe un bagno all'ombra di un mostro fumante di metallo?”.