Venerdì 13 Dicembre la Banca d’Italia, dopo inerzie, omissioni e superficiali controlli decennali, ha commissariato la Banca Popolare di Bari, Istituto simbolo del territorio che per anni ha rappresentato lozoccolo duro del risparmio e dell’impresa del Sud Italia. La domenica successiva, 15 Dicembre, il Consiglio dei Ministri stanziava 900 milioni di soldi pubblici per salvare l’Istituto.
È noto che l’istituto pugliese (un colosso cui fanno capo non meno di 600.000 clienti, tra cui oltre 100.000 aziende con un radicamento capillare sul territorio pugliese e non) è da tempo in difficoltà a causa delle perdite accumulate sui crediti erogati alla clientela. Secondo le stesse indicazioni dei vertici della Banca, il gruppo ha crediti deteriorati pari al 25% del totale crediti, oltre a dover scontare non poche irregolarità amministrative, per cui è finita ripetutamente nel mirino di Consob.
L’ipotesi quindi è di quelle di scuola: Bankitalia dispone lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo della Banca per violazioni o irregolarità nell’amministrazione, deterioramento della situazione e gravi perdite del patrimonio, prendendo in tal modo il controllo della Banca, quello che è inedito –e mai accaduto in Italia prima- è l’obiettivo finale di una cordata pubblico-privato per procedere ad una ricapitalizzazione da parte di Mediocredito centrale, in abbinamento con il Fondo interbancario, il tutto in vista della definitiva messa in sicurezza dell’istituto.
Fin qui la teoria.
In pratica correntisti, azionisti e soci sono da giorni in fibrillazione per le incertezza legate ai dettagli pratici dell’operazione e agli eventuali sacrifici che saranno loro richiesti e la domanda più insistente in questi giorni è: cosa succederà agli azionisti e agli obbligazionisti della Banca Popolare di Bari dopo il commissariamentodell’Istituto?
Ebbene, posto che lo scenario è tutto in divenire ed in via di definizione sono tutti i dettagli dell’operazione, al momento può affermarsi che per l’Istituto continua la sua operatività consueta, quindi nessuna conseguenza pratica è in vista, allo stato, per i correntisti e i clienti della Banca e pertanto ad oggi il commissariamento sembrerebbe rappresentare solo una misura temporanea in vista di una rapida messa in sicurezza dell’Istituto; resta d’altro canto incontrovertibile che proprio azionisti e obbligazionisti sono l’anello debole della vicenda barese, quello che rischia maggiormente ove gli scenari dovessero, d’altro canto, modificarsi.
Posto infatti che le azioni della Popolare pugliese sono state congelate sul mercato Hi-Mtf e non sono già da tempo più negoziabili solo la ricapitalizzazione targata Fondo di tutela dei depositi e Mediocredito centrale, con la creazione di un nuovo Istituto quotato in borsa, può garantire qualche sicurezza in più a risparmiatori dal momento che, ove tale ipotesi messa in campo dovesse naufragare, l’unico scenario che si aprirebbe sarebbe il fallimento, con applicazione della direttiva Brrd che prevede il cd ball in e cioè un meccanismo in base al quale in caso di crac di una banca di fatto i costi della crisi vengono scaricati su azionisti,
obbligazionisti e correntisti sopra i 100 mila euro. Popolare di Bari ha 69 mila soci (il loro capitale è oggi virtualmente già azzerato), un bond da 213 milioni comprato dai risparmiatori che scade nel 2021 e 2,2 miliardi di euro nei conti correnti utilizzabili per il
“salvataggio privato”, tutti soggetti il cui capitale è potenzialmente a rischio in caso di fallimento.
In sostanza, di fronte ad una crisi complessiva del sistema bancario e alle responsabilità di manager scellerati, su cui è ormai improcrastinabile intervenire in maniera radicale e seria uscendo dalla logica emergenziale dei meri “salvataggi”, è certa una cosa: solo la scelta della ricapitalizzazione potrà far tirare a correntisti e azionisti un respiro di sollievo, diversamente, nell’ipotesi in cui si dovesse pervenire a uno scenario liquidatorio, le ricadute del dissesto sarebbero assai rilevanti, sul tessuto economico, sul piano
dell’occupazione, delle famiglie e delle imprese e su quello complessivo del risparmio locale.
La liquidazione implicherebbe infatti innanzi tutto l’azzeramento del valore delle azioni, esacerbando il contenzioso legale con i soci, già elevato; subirebbero la stessa sorte anche i prestiti subordinati, verrebberoinoltre colpiti integralmente i creditori chirografari e i depositi eccedenti i € 100.000 e si riaprirebbe l’ipotesidell’attivazione di un finanziamento da parte di un pool di banche finalizzato a fornire risorse per i rimborsi, finanziamento che resterebbe da rimborsare a carico del sistema bancario.
Gli scenari, come si vede, sono tutti da valutare e decisivi saranno i segnali che verranno dati dalle prossimescelte del Governo, primo fra tutti l’investimento di capitale, la definizione delle modalità di intervento di Mediocredito, gli importi in ballo, la destinazione della futura prima tranche di pagamenti.
Non resta che attendere quindi e, nelle more, consigliare ai risparmiatori che non vi abbiano ancoraprovveduto di formalizzare la contestazione a BPB di tutti gli inadempimenti e responsabilità rivenienti da vendita di azioni e obbligazioni, prevenendo il momento della scissione della attuale società (vecchia Bpb) con costituzione di una nuova società, con la costituzione della nuova società -e senza alcuna preventiva contestazione- il percorso potrebbe infatti rivelarsi più complesso.
Il presidente dell'Adoc
Giuseppe Zippo